Artificial Consulting vs Human Consulting

Gino Tocchetti
5 min readOct 2, 2023
Pavimento del Duomo di Firenze: esempio di prospettive non sempre riconosciute.

Dicevamo che dopo anni di celebrazione del “Fare” l’irrompere dell’AI nel contesto quotidiano di aziende, professionisti e semplici umani, ha introdotto una controtendenza, riportando l’attenzione sul “Pensare” e “Analizzare”.

Ben inteso il livello generale di incertezza non è in diminuzione, anzi aumenterà sempre più, e sempre più velocemente. Quindi l’approccio sperimentale non passerà certo di moda, ma acquista sempre maggiore rilevanza la concentrazione su come impostare l’esperimento, su quali dati raccogliere per passarli all’algoritmo, e il focus sulle assumption e sugli obiettivi (di business, ma anche di sopravvivenza nel mondo che ci gira intorno sempre più vorticosamente).

Se è chiaro cosa dobbiamo analizzare, allora ci penserà l’AI: a noi resta, e scusate se è poco, identificare cosa dobbiamo affrontare e cosa vogliamo ottenere. Chi ha già sperimentato l’applicazione dell’AI nel proprio campo, ha potuto realizzare che il tempo per l’AI di rispondere è di secondi, mentre porre all’AI il quesito appropriato (e nel modo più appropriato) richiede ore. Compreso il tempo necessario per spiegare all’AI il formato in cui fornire la risposta, per favorire il passaggio agli step successivi del processo.

Consideriamo la figura del consulente, quella cioè che fonda il proprio business soprattutto su conoscenza e intelligenza, e che quindi si trova proprio su quel binario su cui sta arrivando il treno dell’AI.

Business Consulting, as it is used to be

Se un tempo il consulente era chiamato a fornire la conoscenza mancante al cliente (knowledge transfer), ed eventualmente a facilitare l’acquisizione di competenze (formazione) fino ad affiancare le prime sperimentazioni, ora lo stesso può fare l’AI, com maggiore velocità flessibilità e disponibilità (immediata e in qualsiasi momento).

Questo comporta la risoluzione dell’alternativa “make or buy”: non si pone più la questione se sviluppare alcune nuove competenze in casa o comprarle esternamente da un esperto. L’AI è l’esperto che tutti abbiamo sempre sognato di poter consultare, ed è come averlo nel team. Certo qualcuno potrebbe avere qualcosa da dire sulla affidabilità dell’AI, ma nemmeno con certi esperti si può sempre mettere la mano sul fuoco.

Dunque serve ancora il consulente? A cosa? La domanda non riguarda gli esecutivi impiegati come freelance part time in alternativa all’assunzione nell’organico aziendale, e impropriamente chiamati anch’essi “consulenti”.

Considerata la mole di lavoro per interagire con l’AI, il tema ora è cosa chiedere, come chiedere, e come assicurarsi che la risposta sia la più operabile possibile. Avremo probabilmente consulenti sul pensare (in termini strategici) e sul domandare, più che sul fare. Oppure consulenti (anche se piccoli) che arrivano con un report già corposo sul contesto aziendale del cliente, già al primo incontro. Già ne stanno emergendo, e le Grandi Società di Consulenza ne stanno prendendo consapevolezza.

Un ruolo indubbiamente più difficile da far digerire al piccolo imprenditore, orgoglioso del suo istinto e della sua autonomia. Ma avremo soprattutto consulenti che sanno relazionarsi, ascoltare e porre le domande più incisive. Domandare sarà il tratto peculiare dell’intelligenza umana, e i consulenti, novelli odissei in preda al desiderio di conoscere, si faranno legare all’albero della barca pur di ascoltare anche il canto ammaliatore ma funesto delle sirene.

Herbert JamesDraper, Ulisse e le Sirene, 1909

Non ho ancora visto una AI che pone domande, ma solo che fornisce risposte, sempre, anche presuntuosamente. Avvisata che la risposta non va bene, ChatGPT si scusa umilmente per la confusione (ma la confusione è altra cosa) e torna alla carica con un’altra risposta, a volte abbandonando completamente la linea di approfondimento seguita fino a quel momento.

Non ne ho incontrata una, finora, che cerchi di capire, che faccia ipotesi, che si allontani dal sapere codificato. Se si insiste nel chiedere che proponga delle domande per approfondire, si limita a girare in forma interrogativa le considerazioni generali che solitamente propone come affermazioni. Se non è rivelatorio questo.

Allora, da questo punto di vista non interessano tanto gli strumenti che organizzano prompt già composti, ma che aiutano a generarne di nuovi. Restando consapevoli che ogni nuovo “processo” collaudato e documentato, sarà immediatamente cibo per qualche modello linguistico.

Potremmo sintetizzare che il campo dove il presidio degli umani resta incontrastato è quello del non-detto, e soprattutto non-scritto. Come zona grigia si inserisce tutto ciò che non è “organizzato”, e che una AI fa fatica a “etichettare”. Possiamo dire che il mestiere distintivo del consulente, e in generale il principale ruolo dei professionisti, sarà “interpretare”.

Nicole Kidman in “The Interpreter”, regia di Sydney Pollack (2005)

Recentemente mi è capitato di confrontarmi con un founder di una startup da 4 anni. Capisco che la sua startup non è mai decollata, e mi dice che la colpa era dei clienti troppo “retrogradi”, la visibilità è arrivata ad un buon livello (da verificare), e i conti sono grosso modo a posto (da verificare, soprattutto se l’investimento fatto sia mai rientrato). Nella conversazione inserisce in continuazione le classiche “frasi fatte” sullo sviluppo delle startup, spesso nemmeno pertinenti con l’argomento in questione, per sottolineare probabilmente che si sente “afferrato” sulla materia.

Ecco, quel tipo di interlocutore, se si proponesse come consulente, sarebbe del tutto surclassato dall’AI. Sono bastate un paio di interazioni per individuare un’incompatibilità importante tra le caratteristiche del suo target e quelle della sua offerta. Ho osservato cosa non mi diceva, le metriche che non citava, e ho inquadrato le sue risposte in schemi di ragionamento visti mille volte, dei quali conosco le conseguenze.

Informazioni che non sono ancora facilmente traducibili in dati o documentazione categorizzata, anche se alcuni grandi VC hanno già iniziato a provarci. La zona grigia che dicevo prima: un mix di esperienza non documentata e di capacità di interpretazione, ovvero di unire i puntini.

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Risoluzione di enigma

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Gino Tocchetti

Business Design, Corporate Innovation, Strategy Advisor