La potenza del linguaggio e le AI generative

Gino Tocchetti
4 min readSep 1, 2023
Grande Torre di Babele, Pieter Bruegel il Vecchio (1563)

«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.»

(Genesi 11, 1–9.)

L’imprevista e sorprendente efficacia dell’Intelligenza Artificiale basata su modelli linguistici dimostra inequivocabilmente lo stretto legame tra linguaggio e intelligenza, passando attraverso la comprensione e dunque la conoscenza, per proseguire nel mai del tutto esplorato mondo della creatività.

Sarebbe già un prezioso risultato poter interagire con uno strumento potentissimo, “che può fare tutto” (almeno ciò che è riconducibile alla forma digitale), col semplice linguaggio naturale. Ricordiamo che l’interfaccia uomo-macchina è stato ed è tutt’ora un aspetto critico nello sviluppo di applicazioni anche di modesta complessità. Ognuno di noi ha avuto esperienze frustranti con dispositivi accompagnati da manuali di istruzioni incomprensibili o software ricchi di funzionalità che rimangono oscure a causa della loro complessità. La possibilità di “dire” semplicemente ciò che si desidera senza dover adattare il nostro linguaggio ai vincoli dello strumento e tradurlo in istruzioni, assomiglia ad una salvazione biblica.

La Sibilla di Michelangelo legge l’oracolo sul laptop aiutata (e immaginata) dalla AI

Ma la vera novità è la “parvenza” di intelligenza che emerge dalla “padronanza di linguaggio”. Per quanto l’AI fallisca nel tentativo di risolvere alcuni test di intelligenza — che tutti noi ci siamo precipitati a sottoporle per poi sentirci sollevati dal fatto che possiamo ancora dirci più intelligenti — non c’è dubbio che le risposte fornite da ChatGPT, anche quando sono sbagliate o addirittura inventate, “suonano” incredibilmente pertinenti, e quando sono corrette fanno dimenticare che si tratta di prodigi di una “scimmia instancabile”.

A dirla tutta non si tratta di vera novità, visto che vengono riprodotte dinamiche molto frequenti nella vita reale, in cui “una buona comunicazione” può persuadere sulla qualità di un prodotto, sulla competenza di un esperto o sulle intenzioni di una persona.

Controprova dell’importanza del legame linguaggio-intelligenza sta nel fatto che software applicativi capaci di elaborare enormi quantità di dati, e di restituirle in forma di tabelle e grafici, non hanno mai sollevato il minimo sospetto di essere “intelligenti”, e sono stati sempre sottovalutati come fredde macchine calcolatrici.

In gioco è il potere espressivo del linguaggio naturale, tale da trasmettere sfumature di senso e rivelare (o lasciar precepire) ragionamenti e intenzioni. Per quanto la potenza di ChatGPT si basi fondamentalmente sul numero di parametri che riesce a gestire — quindi ancora dati, dati, dati — il risultato dell’elaborazione ha qualcosa di “mostruosamente” umano. Con buona pace degli “umanisti” che hanno sempre eretto barricate contro le scienze, la matematica e il razionalismo.

Alberto Garutti, Queste luci vibreranno quando in Italia un fulmine cadrà durante i temporali. Quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà al cielo, 2017–19

Non a caso i compiti che riescono meglio a queste nuove AI generative, riguardano la trasformazione di testi, compresa la traduzione, la riformattazione, la classificazione e la rimodulazione stilistica. Ricordate il famoso “dillo con parole tue”, per verificare il livello di studio dell’originale: ecco, siamo al punto in cui l’AI lo ridice con parole sue senza aver compreso un bel niente. Infatti ha bisogno di conferme da parte degli umani, per “apprendere”, e non proprio “comprendere”.

Un potenziale di portata sconosciuta si sta così dispiegando: l’intelligenza auto-generativa. Già ora infatti l’AI è in grado di provvedere al proprio fabbisogno di dati, ai necessari passaggi intermedi nei processi di elaborazione, alla marcatura e parametrizzazione dei contenuti. Essendo capace di parlare ogni linguaggio, può accedere ad ogni conoscenza e applicare ad essa ogni interpretazione. E non è forse questa la capacità di unire puntini, acquisire nuova conoscenza, e potenziare le proprie elaborazioni (pseudo-)mentali?

Due cose possono farci dormire il sonno tranquillo dell’essere dominante. Innanzi tutto la capacità di interagire col mondo reale e porre l’esperienza sia all’inizio che alla fine del nostro parlare-intelligere-creare. Poi, il nostro ruolo nell’essere al mondo, e nell’auto-determinarlo, che resta lo scopo ultimo di tanto affanno.

Sappiamo già che non sarà così tanto a lungo, ma intanto godiamoci questa insperata ricostruzione della Torre di Babele, e questa specie di pareidolia, consapevoli che siamo noi a vedere l’AI intelligente (e a dirglielo).

Esempio di pareidolia nella forma delle nuvole (Midjourney aided)

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Gino Tocchetti

Business Design, Corporate Innovation, Strategy Advisor