Prompt Engineering? Educazione al pensiero e al linguaggio

Gino Tocchetti
4 min readSep 10, 2023

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Apocalittici ed integrati, Umberto Eco (1964)

Fantastico mondo dell’AI! e anche interessanti (a volte divertenti) le reazioni che sta suscitando. Prevale la mancanza di comprensione dei fondamentali, e di conseguenza si agitano gli entusiasti e i catastrofisti (“apocalittici ed integrati” avrebbe detto qualcuno). Proseguo le mie considerazioni, spero utili nella direzione di far lavorare l’AI per noi, non noi per l’AI.

Dicevo dell’importanza del linguaggio, e leggo in questi giorni di trucchi astuti per migliorare la qualità delle risposte di ChatGPT, ma non solo, scrivendo migliori prompt. In particolare, si propone come “magica” l’idea di inserire “un passo alla volta” alla fine della domanda: un jolly che renderebbe più facile il “ragionamento” dell’AI (virgolettato nell’originale).

Premesso che i modelli linguistici non sono “motori inferenziali” e quindi non eseguono computazioni logiche (e non ha molto senso parlare di ragionamento), ricordiamo che il loro obiettivo principale è “prevedere” cosa segue in una sequenza data. Ne consegue, anche intuitivamente, che dettare una sequenza “aperta” a molte implicazioni può portare a risposte sbagliate o comunque di poco senso.

E’ abbastanza intuitivo, allora, che “chiudere” lo spazio da esplorare ad un dominio più ristretto aiuta l’AI a selezionare estensioni meno dispersive e addirittura fuori luogo (per noi, non per lei). Si tratta di qualcosa che noi facciamo quotidianamente interagendo con altre persone, e spesso anche con noi stessi. Chi ha iniziato ad usare l’AI in modo intensivo, e con fini “seri” nell’ambito del proprio lavoro, lo aveva sicuramente capito da tempo.

Interessante notare che nell’ambito di questa nuova disciplina chiamata “prompt engineering”, si proponga l’uso di queste “frasette magiche”, creando dei veri e propri cataloghi come fossero il “Libro dei Morti” in cui gli antichi sacerdoti egizi raccoglievano formule magico-religiose che dovevano servire al defunto come protezione e aiuto nel suo viaggio attraverso il mondo dei morti, per raggiungere l’immortalità.

Dettaglio del Papiro di Ani, copia del “Libro dei morti” (1250 a.C. circa)

Il punto fondamentale, qui, è la necessità di maneggiare con destrezza il linguaggio, prima ancora ancora che la logica, per poter interagire al meglio con un’AI che di linguaggio, e solo di linguaggio si nutre.

Dopo secoli di civiltà, e ancora significativamente negli ultimi decenni, in cui è stata coltivata e valorizzata, ultimamente celebrata, la “capacità di fare” (Do it!), l’orientamento a risolvere problemi (Done is better than perfect), l’abilità manuale e artigianale (Made in xxx), ci troviamo oggi in una fase storica nella quale saper “parlare” (ri)acquista una funzione cruciale.

Due sono gli aspetti rilevanti che vedo qui. Uno, che questi strumenti potentissimi, l’AI, assumono a proprio carico il processo esecutivo (certo limitatamente al mondo immateriale, delle informazioni digitalizzate, ma non dimentichiamo le potenzialità della robotica), lasciando all’umano la formulazione di obiettivi e interrogativi. Il ruolo dell’umano non è messo in discussione, checché ne dicano molti.

Due, la straordinaria rivalutazione del linguaggio (“le parole sono importanti”), una disciplina indubbiamente “umanistica”, che aveva pagato finora un caro prezzo al trionfo della tecnica. Non mi soffermo qui sulle caratteristiche della lingua inglese, molto “pratica” e a volte proprio sbrigativa, che ne hanno determinato il successo che sappiamo.

Qualsiasi frase mal formulata, qualunque parola usata a sproposito, qualunque sfumatura di senso amputata a causa di un vocabolario limitato, finiscono ora per “costare” più interazioni con l’algoritmo, e compromettere la stessa qualità del risultato.

Uno degli skill di questa fase storica entrante che mi sento di raccomandare, quindi, è proprio l’acquisizione di (reali) capacità di pensiero, linguaggio e comunicazione. Il “prompt engineering” non dovrebbe andare nella direzione di esonerare l’umano dal ragionamento, dalla capacità di esprimerlo compiutamente, e quindi di controllare forma e significato delle sue interrogazioni, preparando “frasette” premasticate e oscure.

Credo che la direzione corretta sia proprio l’opposto: esercitare le skill legate a pensiero e linguaggio. “Cogito ergo sum”: Cartesio sarebbe felice di vivere questo nostro tempo. Forse aggiungerebbe al suo motto: Cogito et loquor ergo sum.

Almeno finchè l’AI non sarà in grado di interfacciare direttamente il nostro cervello.

Discorso sul metodo, René Descartes (1637)

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Written by Gino Tocchetti

Business Design, Corporate Innovation, Strategy Advisor

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