Venture Builder: un’impresa che crea imprese
Come dice efficacemente Luciano Floridi (“La quarta rivoluzione”, 2018), il digitale incolla cose che abbiamo sempre pensato indipendenti l’una dall’altra, e taglia cose che abbiamo sempre pensato unite (“cut and paste”). Ma unire gli oggetti, e quindi disegnare nuove modalità di relazione con essi, e tra noi attraverso essi, equivale a creare nuovi mondi. Se poi vengono ridefinite le stesse logiche economiche che sottintendono le relazioni in questi mondi, ecco che abbiamo disegnato nuovi modelli di business. Questa attività è diventata così fondamentale, che è nata una industry intorno ad essa.
I “venture builder” (VB) sono un fenomeno molto noto, a parte forse in Italia, iniziato con Idealab a fine anni ’90, esploso negli USA nel giro di una decina d’anni, e da allora approdato anche in Europa. Oggi siamo arrivati a contarne diverse centinaia nel mondo, se ne possono riconoscere diverse tipologie, e stiamo andando oltre la “terza generazione”. Non essendo però il termine codificato da una metodologia ufficiale (sono anche detti “start-up studios”, “start-up factories” and “start-up foundries”), ed essendoci svariate ibridazioni del modello “puro”, è meglio concentrarsi sulle caratteristiche distintive nel concreto.
Andiamo dunque per differenze. In confronto agli acceleratori indipendenti, la caratteristica principale di un VB è l’essere autonomo in tutto il processo di sviluppo delle startup: dalla generazione dell’idea alla composizione del team, dal processo di accelerazione alla raccolta fondi. Quindi il VB ha una propria dotazione di capitale e diventa socio di maggioranza di tutte le startup, e l’execution del processo di startup viene assunta in carico al 100%. Non un semplice supporto in affiancamento. Questa autonomia non ha solo un valore organizzativo, ma risponde alla precisa strategia “make” della meta-venture.
La generazione delle idee, per incominciare, è interna: il VB non aspetta che qualcuno arrivi da fuori portandone di buone. Esiste un ambito di investigazione predefinito, corrispondente agli interessi e al DNA dei founder del VB, e nel caso sia emanazione di una corporate, alle sue strategie di sviluppo. Fissato l’ambito, e a volte circoscritta anche la tipologia di soluzione, la formulazione dell’idea di business può (doverosamente) beneficiare anche di contributi esterni, per esempio attraverso sessioni di design thinking, ma questo fa parte del processo di validazione che è in carico al team del VB.
Dunque abbiamo qui un’importante differenza nel business model, rispetto agli acceleratori e alle iniziative che similmente sostengono la generazione di nuovi business: la startup non è il cliente ma il prodotto. Se l’output è uguale in entrambi i casi, i VB non hanno “in input” un’idea di business da trasformare in impresa, piuttosto partono da un capitale di competenze di mercato, di comprensione dei bisogni di una tipologia di clienti, di padronanza di nuove tecnologie, e di esperienza nel processo di sviluppo di startup, e lo usano per creare imprese economicamente sostenibili e finanziariamente soddisfacenti. La materia prima che il VB trasforma è capitale umano.
Una conseguenza della robusta capacità di execution, è la maggiore affidabilità in termine di probabilità di successo delle startup sviluppate, e quindi la possibilità di concentrarsi su un numero minore di startup. Dunque solo poche idee “ad alto potenziale” all’anno (dipendendo ovviamente dalla dimensione della struttura), validate più solidamente e velocemente, con minori costi e rischi.
Passiamo al confronto con le iniziative promosse da corporate nell’ecosistema startup, quali CVC (Corporate Venture Capital) o Corporate Accelerator o altre iniziative di Open Innovation. Anche queste sono lanciate sostanzialmente da un unico committente, la corporate, che accetta il ruolo di partecipante esterno allo sviluppo di startup autonome: finanziatore nel caso di CVC; socio e partner nel’accelerazione nel caso di Corporate Accelerator; quanto meno beneficiario per “contaminazione” in termini di competenze e innovazione nel caso di Open Innovation.
Purtroppo accade spesso che le intenzioni dichiarate originariamente non siano poi rispettate, dal momento che per la corporate è sempre prioritario (e vincolante) il proprio core business. Per questi motivi risultano deludenti dal punto di vista dello sviluppo delle startup, e quindi dal punto di vista dei loro founder. Quel che è peggio, lo sono spesso anche rispetto alle aspettative della corporate stessa.
Nonostante questi rischi, la capacità storica di generazione di innovazione di prodotto, di materiali o tecnologie, ancor più se accompagnata da brevetti, oltre all’urgenza di seguire i movimenti di mercati sempre più in fibrillazione, spinge le corporate a identificare nuove soluzioni per scaricare a terra, in modo più moderno e sostenibile, e soprattutto più veloce, un’attività di “ricerca e sviluppo” in parte sottovalorizzata, e spesso troppo lontana dai risultati economici, e anche nuove opportunità di business che riguardano il proprio settore, prima che siano colte da altri.
Secondo Mind The Bridge, i Corporate Venture Builder (chiamiamoli CVB) sono l’evoluzione naturale dei Corporate Innovation Hub. Certamente gli esempi sono ormai davvero numerosi: BP Launchpad, AXA Kamet Ventures, Samsung Next, Telefonica Wayra Builder, Iberdrola Perseo Venture Builder… per citarne solo alcuni. La ragione che rende un VB più interessante per la corporate rispetto alle altre iniziative, stando ad una ricerca McKinsey, è proprio la velocità nel concretizzare nuovi revenue streams.
Per ottenere quel risultato, infatti, la velocità e affidabilità del VB sono preziose: una struttura operativa dedicata, altamente qualificata, che non rimane “esterna”, e che include risorse dell’azienda esperte dell’industry e del know-how di settore. Se operato come dovrebbe, il CVB non avrebbe motivo di tradire il mandato originale, “facendo teatrino dell’innovazione”, perché focalizzato nel portare lo sviluppo delle startup alla generazione di revenue e alla exit.
D’altra parte fattori critici sono il team e la governance, tant’è che si riconoscono già diversi modelli di conseguenza. Non ci sarebbe da stupirsi se le stesse sabbie mobili aziendali che mettono in pericolo i corporate accelerator e i CVC, creassero problemi anche ai CVB. Al momento è la formula su cui si sta scommettendo, con la consapevolezza di dover imparare strada facendo.
Altri contesti favorevoli alla creazione di VB sono i politecnici, i centri di ricerca indipendenti, i laboratori di sviluppo di tecnologie avanzate (NASA Startup Studio, MIT Proto Ventures, Hargon Biotech, NLC Healthcare, Tecnalia Ventures…), o le innovation practice di prestigiose società di consulenza (BCG Digital Ventures, EY ETVenture, Deloitte Makers.do, McKinsey Leap).
Focalizziamo ora su alcune caratteristiche strutturali dei VB.
Abbiamo visto quanto sia cruciale la relazione tra founder e team del VB, com’è per qualsiasi startup. Anzi il contesto fertile per eccellenza è proprio dove sono presenti imprenditori seriali di successo (ne basta uno veramente bravo), col loro team esperto ed affiatato, capace di presidiare un processo collaudato e ripetibile, circondato da un ampio e selezionato network di fornitori di servizi e investitori. In questo caso il gruppo di founder non fa altro che organizzare le proprie molteplici iniziative in un unico contenitore strutturato per sfruttare al massimo gli asset costruiti nel tempo.
Intorno ai founder del VB e al core team così speciale, ruota un network di risorse specializzate nelle varie tecniche utili per sviluppare una startup. In realtà, i membri del VB sono andati accumulando nel tempo la competenza che permette di determinare il successo della startup (“entrepreneurial recycling”), e durante l’esercizio dell’attività di VB stessa, vedono aumentare ulteriormente questa competenza ed esperienza. Dunque non si sta parlando della semplice combinazione di competenze in comunicazione, user experience, business design, growth hacking o sviluppo software… ma di “una somma che è maggiore degli addendi”.
E’ chiaro da un lato, che tale core team può essere facilmente saturato, e dall’altro che non sia in grado di coprire tutte le competenze specialistiche necessarie per una determinata startup. La prerogativa del VB è quella di impegnarsi direttamente, salvo contributi esterni, nel processo di selezione e recruiting dei professionisti mancanti alle startup.
Dal punto di vista degli startupper e dei giovani talenti, il coinvolgimento in un VB può rappresentare un interessante compromesso tra l’ambizione di partecipare a contesti lavorativi fortemente orientati all’innovazione, e in grado di gratificare le migliori competenze (che le startup promettono di garantire), e alcune garanzie sulla serietà del contesto dal punto di vista professionale, e sull’affidabilità dei compagni di viaggio selezionati in un bacino più ampio e con una cura che essi da soli non saprebbero esprimere (che possono assomigliare alle tutele assicurate da una grande corporate organizzata, senza però rivelarsi un pachiderma preistorico).
Altra caratteristica distintiva dei VB è la gestione del portafoglio di startup. Le startup non sono considerate una alla volta, o al massimo in batch (lotti) nei quali le singole startup sono ben distinte e seguono un percorso personalizzato, anche se più o meno aderente ad una roadmap collaudata e con analoga cadenza. Le startup possono nascere da buone idee emergenti nella fase di esplorazione in ogni momento, poi eventualmente “spente” e “ricombinate” agevolmente, in base a svariati fattori legati principalmente, ma non solo, all’andamento della loro validazione.
Questa prassi è anche nota come “parallel entrepreneurship”. Si può dire che l’obiettivo di business del VB come impresa, è legato ma non completamente vincolato a quello delle singole startup, esattamente come quello di un’impresa è legato ma non vincolato ai suoi singoli prodotti.
Lungi dall’essere un problema di eccessivo verticismo, e quindi un difetto della governance del VB, questa caratteristica permette di procurare maggior beneficio per i founder del VB che vedono meno ostacoli nel puntare alle exit, ma anche per gli investitori che lo finanziano e vedono ridotto il rischio di impresa, e anche per gli stessi membri del team coinvolti nella compagine societaria.
Un’altra caratteristica fortemente distintiva è nella compagine societaria e nella raccolta fondi. Se il VB è co-founder e socio di maggioranza di tutte le startup in portafoglio (qualcosa simile ad una holding con le sue partecipate), oltre alle conseguenze vantaggiose già dette che portano ad una governance più efficace e più “economica” e quindi ad un minore fabbisogno di risorse finanziarie, l’approvvigionamento delle stesse risorse è facilitato rispetto alle altre tipologie di iniziative. Gli investitori che si inseriscono via via acquisiscono generalmente quote del VB e “quindi” di tutte le startup in portafoglio. Ancora una volta il business complessivo del VB è al centro, e le startup sono ad esso strumentali.
Da notare poi che i Fondi di Venture Capital che lavorano con gli acceleratori, devono applicare specifiche strategie di investimento dipendenti dal ciclo di vita del fondo, dal numero di batch, e dall’alto tasso di mortalità delle startup selezionate ed accompagnate in quella maniera. Non è così per i VB che non hanno necessariamente i vincoli operativi dei fondi, non lavorano per batch, e hanno un indice di rischio minore.
A questo proposito viene indicato l’ecosistema europeo come il più favorevole a questo tipo di iniziative, proprio per la generale minore propensione al rischio, per il sottodimensionamento dei fondi di investimento e della capacità di investimento (un VB può operare con dotazioni finanziarie minori), per la frammentazione e il conseguente nanismo del comparto, e per alcuni ritardi legati ad una minore propensione all’innovazione e diffusione di una appropriata cultura d’impresa (si pensi allo stigma del fallimento ancora presente tra gli operatori economici e finanziari).
In particolare ha avuto successo il modello di “Copycat Venture Building”. Dove si dispone di capacità di sviluppo nuovo business già collaudate, può essere sufficiente pescare le idee di business da casi di successo in altri continenti, con il “semplice” obiettivo (ma si sa che nulla è mai così semplice) di replicarle in Europa, come dimostra la famosa Rocket Internet a Berlino.
In conclusione possiamo dire che i VB sono l’apice dell’industrializzazione del processo di sviluppo di startup: laddove un ecosistema rischia di essere frammentato, lento a crescere, e indebolito da rivalità interne, il VB risponde con il verticismo, capacità di execution collaudate, organizzazione aziendale, e facilità di accesso al capitale.
Il VB è quindi in grado di garantire migliori probabilità di successo alla singola startup, proprio grazie ad una migliore assegnazione di risorse, alla possibilità di sinergie e supporto incrociato all’interno del portafoglio, e ad una migliore capitalizzazione.
D’altra parte i VB rappresentano la consacrazione dell’innovazione a livello di business model: non solo le tecnologie avanzate (e la digital transformation) rappresentano oggi una grande opportunità di mercato, ma soprattutto la stessa creazione di business sostenibili che sfruttano quelle tecnologie.
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[Fonti utilizzate:
- Jules Ehrhardt (FKTRY), “The Origin and Evolution of the Startup Studio”
- Nick Zasowski (GSSN): “Disrupting the Venture Landscape” Whitepaper
- (INSEAD): “The Emerging Role of Venture Builders in Early-Stage Venture Funding”
- (Venturebeat): “How ‘venture builders’ are changing the startup model”
- (Enhance): “Startup Studio: Innovating Innovation”
- (McKinsey): “Why business building is the new priority for growth”
- (INSEAD): “The Emerging Role of Venture Builders”
- Tobias Guttman (EBS): “Organizational best practices of company builders: a qualitative study”
- Attila Szigeti: “The emergence of Startup-as-a-Service”
- (StartupVC): “What is a Company/Venture Builder? And How Does It Work?”
- Farhad Alessandro Mohammadi, Nicolò Vinci, Raffaele di Palo (Mamazen): “Bringing Ideas To Life” Whitepaper ]