Verso una nuova economia dell’intelligenza

Gino Tocchetti
15 min readFeb 3, 2025

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I cambiamenti profondi comportati da ogni rivoluzione tecnologica si rivelano ricchi di opportunità e sfide, ma inizialmente le prime non sono così facili da cogliere, e non tutti le ritengono subito sufficienti da far accettare le seconde. Dalla nascita di Internet all’esplosione dei social network, fino alla recente affermazione dell’intelligenza artificiale (AI), il nostro rapporto con la tecnologia si è evoluto in modi che ridefiniscono il ruolo umano.

Mentre ancora stiamo affrontando l’impatto che i social network hanno avuto e stanno avendo sulla nostra società e sulle nostre vite private (basta pensare al dibattito sui nuovi indirizzi di governance adottati da X e Meta, e sul futuro di TikTok in occidente), in questo momento nessuno può già dirsi un vero esperto del passaggio storico introdotto dall’Intelligenza Artificiale. Ogni barlume di certezza vale il tempo di una bolla di sapone che volteggia in aria. Questo articolo vuole esplorare le analogie tra le ultime rivoluzioni e come possano guidarci a comprendere il presente e il prossimo futuro.

1. La rivoluzione di Internet: reti fisiche e connessioni globali

Negli anni ’90, Internet ha fatto esplodere il potenziale di una rete globale in grado di collegare punti geograficamente distanti. Con strumenti come il WWW e l’HTML, la condivisione di informazioni è diventata di gran lunga più accessibile a tutti, diluendo il nostro ambiente quotidiano in un vasto oceano digitale. La stessa presenza in Rete, attraverso un proprio sito web, è diventata condizione necessaria per essere riconosciuti e contattati.

L’interrogazione di motori di ricerca per reperire informazioni di ogni genere, e la costruzione di intranet aziendali, hanno permesso di trasformare l’elaborazione di dati tramite calcolatori elettronici, nella condivisione di conoscenza (si è parlato infatti di economia della conoscenza). E’ sembrato possibile coltivare l’albero della conoscenza nel proprio giardino. Con un’efficace metafora di Luciano Floridi, internet ha permesso di spezzettare (forbice) e ricomporre (colla) la conoscenza che abbiamo del mondo.

Le reti create dai calcolatori hanno reso la connessione fisica una commodity (un bene un tempo raro e costoso, ora disponibile a tutti a costo zero), e hanno permesso una trasformazione digitale sistematica e pervasiva, inarrestata ancora ai giorni nostri. Questa evoluzione ha permesso di spostare l’attenzione dai nodi fisici, alle informazioni scambiate, fino ad un focus sempre maggiore sulle persone o altre entità altrettanto o ancor più complesse (aziende, istituzioni, comunità).

2. I social network: dal byte alla friendship

Con l’avvento dei social network è stato ampliato il concetto di rete, mettendo in primo piano le connessioni sociali: sono state digitalizzate le interazioni umane. Piattaforme come Facebook e Twitter hanno dato un volto, un carattere, opinioni ed emozioni, e una vita personale agli indirizzi ip, ai siti web, ai nickname nei newsgroup, ai blog. E di conseguenza, si è andata sviluppando una società virtuale, liquida e pervasiva, a volte riferita con l’indice 2.0 (ecosistema 2.0).

Questa società virtuale, inizialmente parallela a quella reale, e per questo forse ritenuta utopisticamente migliore, è risultata spesso rivale di quella reale, e per questo motivo osteggiata. Una dualità che ha presto cambiato polarità, man mano che la prevalenza si è spostata dall’una all’altra, con valutazioni discordanti, per arrivare infine a risolversi in una combinazione unica e non più divisibile (chiamata onlife, da Luciano Floridi).

Questa rivoluzione ha ampliato enormemente le opportunità di comunicazioni di marketing, e di business in senso più esteso, sfruttando le nuove commodity, ovvero le relazioni umane. Aziende e professionisti hanno utilizzato le reti sociali per migliorare la propria visibilità, costruire relazioni con clienti e stakeholder, e monitorare il mercato. Ma c’è stato anche un prezzo da pagare: le relazioni mediate dal digitale hanno perso in qualità e profondità, generando spesso la percezione di mancanza di autenticità.

Per essere misurabili e rilevate dalla sentiment analysis, sono state ridotte a semplici reactions e surrogate con enfatiche manifestazioni emotive (Wow, Lol, Top, …). I gradi di separazione tra chiunque fosse connesso alla Rete, sono scesi drasticamente (da 6 a 1 e mezzo, secondo alcuni), e molti hanno trovato gratificante già solo collezionare migliaia di contatti. Anche se di questi contatti nulla si sapeva e con essi nulla veniva scambiato effettivamente, il loro numero ha aumentato la dimensione delle Friend List, e nella percezione di molti, anche del bacino di potenziali clienti. Una moltitudine poi esibita vanitosamente come testimonianza di credito, anche se in realtà ben poco attenta e interessata.

3. Intelligenza artificiale: dal sociale al cognitivo

Oggi, i Large Language Model ricombinano su base statistica frammenti di testo, informazioni, concetti, elementi visivi… generando nuovi costrutti spesso inattesi se non imprevedibili. Permettono di esplorare ogni angolo di una vasta rete di informazioni pubbliche, ormai estesa a tutto quanto pubblicato online, e a molte informazioni finora sottostanti e dunque implicite o sconosciute.

L’AI offre strumenti per analizzare e interpretare enormi volumi di dati, portando alla luce pattern e intuizioni che amplificano la nostra capacità di comprendere e risolvere problemi complessi. Prodotti dall’intelligenza umana sono gli input, ricombinati e generati dall’intelligenza artificiale sono gli output, in un turbinio sempre più tumultuoso.

Alla data di questo articolo cominciamo ad assistere al passaggio in cui artificiali sono sia gli input che gli output, con i LLM di nuova generazione addestrati distillando quanto prodotto da quelli precedenti. La Rete occupa sempre il ruolo fondamentale di infrastruttura abilitante, e se consideriamo le reti neurali, abbiamo un’altra dimensione in cui si manifesta la potenza di queste architetture digitali.

Dunque, oggi il focus è su un livello ancora più astratto di rete: non connessione solo tra persone, ma tessitura di frammenti di testo, porzioni di immagini, embrioni di concetti. In questo senso evoca il lavoro del cervello umano, che memorizza, scompone e ricompone, e così facendo elabora pensieri, teorie ed espressioni artistiche.

Però, mentre il cervello umano si basa sull’esperienza sensoriale oltre che sulle capacità intellettive, quest’altro (che non a caso chiamiamo via via cervello elettronico, rete neuronale, intelligenza artificiale) si basa sugli elaborati e attende le assegnazioni di senso di quello. Almeno fino a quando non sarà integrata su vasta scala con reti di sensori ed eserciti di robot, l’AI non potrà dirsi senziente e non potrà attribuire un significato che vada oltre le proprietà geometriche di un vettore in uno spazio delle permutazioni di token e parametri.

Ma se la tecnologia permette grandi vantaggi soprattutto quantitativi, e per questo viene applicata prevalentemente per migliorare le performance, anche questa volta c’è un costo da pagare: la percezione di scarsa qualità dei suoi elaborati intellettuali — errori, bias e allucinazioni a parte. Questo è ovviamente più evidente nei contesti professionali, dove vengono messi seriamente alla prova.

Poco conta l’entusiasmo del marketing manager interessato al business che ruota intorno alla nuova tecnologia. Ancora meno conta lo stupore di chi si accontenta di giocarci. A differenza del passato, a confondere la valutazione delle reali potenzialità raggiunte, c’è la straordinaria accelerazione con cui si sta sviluppando e si svilupperà questa tecnologia, che alimenta l’effetto “demo perenne”.

Inevitabilmente quindi, questa rivoluzione solleva interrogativi profondi sul ruolo umano di creatore di senso, che sembra minacciato dalla capacità delle macchine di generare connessioni e pensieri autonomi. È un’illusione? Oppure siamo di fronte a un cambiamento che richiede un importante ripensamento del nostro ruolo?

4. Intelligenze multiple e il modello economico

Come abbiamo visto per le rivoluzioni tecnologiche precedenti, è facile riconoscere un pattern ricorrente: progressivi guadagni di capacità da un lato, graduale perdita di ruoli tradizionali dall’altro. Con i social network, abbiamo visto un potenziamento delle connessioni sociali, ma a scapito della qualità delle relazioni. Con l’AI, vediamo un aumento della capacità di elaborazione e comprensione, ma rischiamo di perdere il controllo sui processi cognitivi e sulla creazione di senso.

Nel caso dei social network, non è stato così difficile arrivare ad una valutazione positiva di questo compromesso. I benefici erano evidenti sia in termini di gratificazione personale, come “animali sociali”, sia per professionisti e aziende, sempre alla ricerca di relazioni commerciali profittevoli.

Venendo all’intelligenza artificiale, come possiamo immaginare lo sviluppo di un pattern analogo?

L’economia della conoscenza è un termine reso popolare da Peter Drucker col suo libro “The Effective Executive”, del 1966. La definizione più accreditata fa riferire questa espressione ad un sistema economico che si basa più sulle capacità intellettuali che sugli input fisici o sulle risorse naturali. Invece degli input tradizionali, l’analisi dei big data e l’automazione diventano fondamentali per il processo di produzione. La conoscenza da un punto di vista aziendale è una risorsa scarsa che consente, a chi la possiede, di trarre un vantaggio competitivo. È considerata una risorsa, se applicata alla risoluzione di problemi, perché può essere una fonte di guadagno.

Assistiamo oggi ad un cambio di paradigma per cui anche le capacità intellettuali vanno distinte tra quelle operabili dalle macchine, e quelle ancora appannaggio degli umani. Queste ultime, risultando evidentemente più scarse, costituiscono un nuovo reale fattore competitivo. Possiamo chiamarla economia dell’intelligenza?

4.1. Il valore della validazione del pensiero

Sembra dunque che non sia più tanto la connessione in sé ad avere valore, ma la capacità di generare, validare e valorizzare idee e concetti, e in definitiva di creare senso. La validazione è il processo attraverso il quale un’idea, una connessione concettuale o un’elaborazione acquisisce rilevanza, significato e potenziale valore nel contesto umano ed economico. Ma validazione rispetto a cosa?

Quattro dimensioni principali delineano un pensiero come significativo e rilevante:

  • Rilevanza Umana: Un pensiero è valido se tocca un bisogno reale, se entra in risonanza con i desideri, le paure o le aspirazioni degli individui. Il valore di un’idea cresce quando riesce a incidere sulla vita delle persone, trasformando la loro comprensione o esperienza del mondo.
  • Utilità Pratica: La validazione avviene anche attraverso l’utilità. Un concetto o un’intuizione acquisisce valore economico quando si dimostra applicabile per risolvere un problema concreto o per migliorare una situazione esistente.
  • Consapevolezza Culturale: Le idee trovano validazione nella loro capacità di inserirsi in un contesto culturale condiviso. Il valore di un pensiero emerge dal suo dialogo con conoscenze pregresse, valori e sensibilità emergenti, arricchendo il patrimonio culturale individuale e collettivo.
  • Capacità di Trasformazione: Un pensiero acquisisce valore se contribuisce a innescare un cambiamento, sia a livello personale, sia sociale o economico. L’impatto trasformativo diventa un indicatore chiave della validità e della rilevanza di un’idea.

4.2. Il contributo dell’AI: il lavoro sporco dietro un pensiero di valore

La generazione di un qualsiasi elaborato intellettuale, e a maggior valore quella di un pensiero di valore richiede molto lavoro. Un lavoro faticoso, anche se non stancante a livello muscolare, che viene riferito spesso come “olio di gomito”. Questo lo sanno bene scrittori, pittori, musicisti, registi, ricercatori, matematici, filosofi, designer, programmatori, e tutti gli studenti che preparano esami. E non dimentichiamo chi scrive un semplice articolo o una mail importante: anche in questo caso, tra cancellature e riscritture, si suda non poco, intellettualmente, per scarnire il messaggio essenziale e adottare il tono più appropriato.

Ecco che l’intelligenza artificiale si candida con successo a prezioso assistente al quale delegare la parte più strettamente operativa, liberando risorse per quella più legata al senso, allo stile, e alla strategia.

4.2.1. L’Intelligenza Operativa (affidata all’AI)

L’intelligenza artificiale gestisce con particolare efficacia attività cognitive ripetitive e precisamente articolate, come:

  • Scomporre e riclassificare informazioni
  • Ricomporre dati e concetti in nuove configurazioni
  • Tradurre tra linguaggi, codici e formati diversi
  • Riformattare contenuti per adattarli a contesti differenti
  • Generare permutazioni per esplorare possibili alternative

Si percepisce che questa strada non può portare lontano. Uno studio intitolato “Is artificial consciousness achievable? Lessons from the human brain” sottolinea che, nonostante i progressi nell’AI, esistono caratteristiche strutturali e funzionali del cervello umano fondamentali per un’esperienza cosciente complessa, che le attuali ricerche sull’AI non riescono a replicare. Gli autori suggeriscono che, sebbene l’AI possa trarre ispirazione da queste caratteristiche per sviluppare sistemi capaci di processi coscienti, permangono limitazioni intrinseche ed estrinseche che ne ostacolano l’emulazione completa.

4.2.2. L’Intelligenza Strategica (propria dell’essere umano)

In un mondo dominato dalla velocità dell’AI, il “pensiero lento” diventa un valore distintivo dell’essere umano. L’AI eccelle nell’elaborazione rapida di grandi volumi di dati, ma non può sostituire la capacità umana di riflessione profonda e analisi critica.

Quando si parla di intelligenza umana non si possono dimenticare i numerosi lavori sulle varie forme di intelligenza, ad incominciare da quella emotiva (Daniel Goleman con il concetto di intelligenza emotiva, e Howard Gardner con la teoria delle intelligenze multiple). Gardner in particolare, identifica otto tipi di intelligenza: linguistica, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, musicale, interpersonale, intrapersonale e naturalistica.

L’AI può replicare parzialmente alcune di queste, in particolare la logico-matematica e, in parte, la linguistica, attraverso la capacità di analizzare dati, risolvere problemi complessi e generare testi coerenti. Tuttavia, l’AI incontra limiti significativi nella riproduzione delle forme di intelligenza legate all’esperienza umana profonda, come l’intelligenza emotiva, l’interpersonale, l’intrapersonale e la corporeo-cinestetica, che richiedono consapevolezza di sé, empatia autentica, capacità di riflessione critica e connessione fisica con il mondo reale.

Qui sembra opportuno sottolineare che il pensiero umano consente di:

  • Approfondire questioni complesse, al di là delle risposte immediate generate dall’AI
  • Comprendere e definire il significato stesso di ciò che viene analizzato nel presente e immaginato nel futuro
  • Riconoscere sfumature etiche e culturali invisibili agli algoritmi.

Queste consentono agli esseri umani di svolgere attività che vanno oltre la sola elaborazione di informazioni digitali, come:

  • Identificare i problemi rilevanti per il progresso umano e personale
  • Selezionare le modalità di soluzione, basandosi su intuizioni, valori e visioni del futuro
  • Acquisire consapevolezza dei bisogni insoddisfatti, sia materiali che esistenziali
  • Individuare risposte appaganti, che risuonino sul piano umano e culturale
  • Attribuire senso e immaginare futuri possibili, e prendere decisioni che riflettono valori etici e culturali.

Per esempio, l’intelligenza artificiale eccelle in compiti specifici, come la traduzione automatica, ma mostra limiti evidenti nella generazione di testi originali complessi. Le principali criticità riguardano la mancanza di comprensione profonda, creatività e capacità di “pensare fuori dagli schemi”. I testi prodotti dall’AI risultano spesso piatti, ripetitivi e privi di sfumature, con difficoltà nel mantenere il contesto e il significato originale.

Questo stesso articolo, per esempio, è stato scritto con un consistente impiego di AI, ma non avrebbe potuto essere scritto interamente dall’AI. Innanzitutto i concetti fondamentali in esso contenuti, e la loro composizione in un ragionamento, sono stati pensati e selezionati dall’autore. Anche molte limature stilistiche sono frutto del lavoro dell’autore, e infatti sono una riconoscibile caratteristica della sua scrittura. Per contro, l’AI ha aiutato nel ridurre il tempo necessario a raccogliere informazioni, suggerire classificazioni, e comporre bozze dei singoli paragrafi.

4.2.3. Una superiorità non solo auspicata, ma fattuale

Le capacità del cervello umano nella gestione della complessità e nell’analisi critica rimangono superiori, nonostante i notevoli progressi dell’intelligenza artificiale, grazie a meccanismi biologici che l’architettura basata su backpropagation e transformer non riescono ancora a replicare. L’algoritmo di backpropagation, fondamentale per l’addestramento delle reti neurali, permette di correggere gli errori ottimizzando i pesi attraverso il calcolo dei gradienti, ma richiede enormi quantità di dati per ottenere risultati efficaci. Le transformer architecture, che si fondano sullo stesso principio, amplificano questa logica tramite il meccanismo di self-attention, riuscendo a elaborare relazioni complesse nei dati sequenziali.

D’altra parte, il cervello umano impara in modo più rapido e con meno dati grazie ad un’architettura neurale intrinsecamente adattiva, capace di integrare informazioni sensoriali e contestuali in modo dinamico e bidirezionale. Questa efficienza biologica deriva dalla plasticità sinaptica e dall’interazione simultanea di molteplici aree cognitive: un livello di integrazione che l’AI, basata su backpropagation e transformer, non ha ancora raggiunto.

4.2.4. Impatto dell’AI sui processi cognitivi umani

L’adozione massiccia dell’AI, e più recentemente l’introduzione degli agenti intelligenti, possono comportare una dipendenza eccessiva dai sistemi automatizzati, sia per un forte affidamento sulle loro capacità (umanizzazione dell’AI), sia per l’opacità dell’elaborazione che conduce alla generazione delle risposte (“Explainable AI” o XAI), sia per una naturale propensione a delegare ad ogni soluzione meno onerosa dal punto di vista cognitivo, specialmente nei contesti di sovraccarico lavorativo, che risultano oltretutto sempre più frequenti (pigrizia).

Questo potrebbe portare a:

  • un possibile rischio, pericolosamente subdolo, di indebolimento delle capacità cognitive degli umani. Questo riguarda in particolare la riduzione delle abilità di analisi critica, la creazione di connessioni interdisciplinari e la sorveglianza sulle reali implicazioni sul piano etico e sociale
  • una progressiva perdita di autonomia intellettuale, e ad una società che delega ciecamente decisioni sempre più importanti alle macchine, non sapendo riconoscerne le caratteristiche più critiche e valutarne le conseguenze.

Naturalmente bisogna considerare che questi rischi non sono intrinseci alla tecnologia, ma dipendono dall’uso che se ne fa. Ad esempio, affidarsi completamente ai suggerimenti di un sistema di raccomandazione automatizzato per decisioni mediche o finanziarie senza un’adeguata verifica umana può portare a gravi conseguenze. E’ però altrettanto vero che, per quanto questi rischi non siano tali per tutti, il semplice fatto che una vasta fetta della popolazione ne sia vittima solleva problematiche che finiscono per affliggere l’intera società.

Solo per avere un’idea del fenomeno, una ricerca dal titolo “Impact of artificial intelligence on human loss in decision making, laziness and safety in education“, condotta dall’Institute of Business Management (IoBM) di Karachi (Pakistan), pubblicata su Nature nel Giugno 2023, evidenzia come sul campione composto da 285 studenti universitari in Pakistan e Cina, L’AI ha avuto un impatto significativo (68,9%) sull’aumento della pigrizia tra gli studenti, e ne ha ridotto la capacità decisionale autonoma in misura minore (27,7%).

Infine, occorre considerare che l’uso dell’AI comporta rischi per la sicurezza e la privacy. Se è evidente la perdita di valore economico o lo sfruttamento abusivo di informazioni sensibili personali e di informazioni riservate aziendali, non è meno critico l’accesso a dati sensibili relativi a comportamenti e orientamenti degli studenti in ambito educativo, e della popolazione civile più in generale, che possono essere vulnerabili a violazioni. La ricerca citata stima che il 68,6% del campione ha mostrato preoccupazione per questo aspetto dell’impiego dell’AI, risultando quindi tra i maggiori fattori critici.

4.3. Pensiero Strategico e Valore Economico

Il valore economico, in questa prospettiva, si basa nuovamente sullo sfruttamento delle nuove commodity, ovvero dell’intelligenza operativa. Non risiede nemmeno tanto nell’efficienza dell’elaborazione, bensì nella capacità di orientare l’intelligenza verso scopi significativi. L’AI può generare una grande quantità di output, ma è la guida umana che permette di discernere ciò che è realmente rilevante.

Ad esempio, sapendo che le valutazioni economiche nel settore AI sono ampiamente gonfiate da un marketing esasperato e da dinamiche speculative fuori misura, quale valore può avere effettivamente analizzare se DeepSeek rappresenti un’autentica innovazione o sia semplicemente una distillazione di ChatGPT? I margini per sviluppare nuove architetture sono ampi, contrariamente a quanto sostenuto dai leader in cerca di mantenere il proprio vantaggio competitivo. E quanto valore può avere l’esame della credibilità di soluzioni tecnologiche che promettono di ridurre drasticamente i costi di implementazione? La questione non è nell’eseguire i LLM in modo più efficiente ma analizzare le nuove architetture di cui gli LLM sono solo dei componenti. Oppure, quanto valore ha discutere dei nuovi filtri censori applicati dai modelli cinesi rispetto a quelli già noti nei modelli e nelle piattaforme di social network occidentali, specie dopo i recenti annunci che riguardano X e Meta? Molto più urgenti sono le riflessioni sulla privacy, la sua tutela e la governance che dovrebbe garantirla.

Sembra quindi una scelta poco lungimirante dal punto di vista del business, quella di proporsi come formatori e divulgatori concentrandosi esclusivamente sugli annunci dei grandi player del settore riguardo ai nuovi traguardi tecnologici, come anche quella di offrire come propri servizi, ciò che l’AI è già in grado di fornire autonomamente. Anche se possono sembrare gratificanti nell’immediato, questi modelli di business rischiano di perdere rapidamente slancio, pur richiedendo di mantenere un impegno sempre più gravoso, in un contesto in forte accelerazione e affollato da una moltitudine di competitor che hanno proposizioni di valore equivalenti.

Se siamo all’inizio di una fase caratterizzata dall’economia dell’intelligenza, il valore dovrebbe essere riconosciuto dove l’essere umano svolge un ruolo di agente di validazione, cioè capace di orientare, interpretare e attribuire valore. Questo scenario richiede un progresso culturale che proceda a pari passo col progresso tecnologico. In questo senso, l’intelligenza artificiale non deve diventare un semplice amplificatore di output se questi restano poco utili agli umani nel coltivare la propria consapevolezza singola e collettiva, riflettere sui propri bisogni e desideri, e affrontare le sfide e risolvere i problemi che la modernità rende urgenti. Solo in quel caso sarà possibile generare un valore economico autentico, fondato non sulla quantità di informazioni prodotte, bellamente ricombinate, ma sulla qualità delle decisioni che queste informazioni rendono possibili.

Conclusione

L’economia dell’intelligenza sta emergendo come risultato di una transizione cruciale, sia sul piano tecnologico che culturale. Sulla base di quelle già avviate dalle precedenti rivoluzioni di Internet e delle Reti Sociali, che hanno reso commodity prima le reti fisiche e poi le relazioni tra persone, sembra che le nuove commodity siano le attività intellettive strettamente operative, spostando la percezione di valore sulla qualità delle elaborazioni cognitive.

In questo scenario, il ruolo umano non va esaurendosi, ma evolve assumendo la responsabilità di guidare il significato e la direzione del pensiero generato con le nuove tecnologie. Le persone restano e crescono come interpreti e curatori di idee, in un mondo dove la velocità e l’efficienza dell’AI richiedono una bussola etica e culturale.

La vera sfida per il genere umano consiste nell’utilizzare l’AI come strumento, non fine a se stesso, per arricchire la complessità e profondità del pensiero che lo caratterizza. Nell’indirizzare, cioè, la potenza di calcolo e l’intelligenza operativa verso una consapevolezza più profonda di sé, una comprensione più chiara dei propri bisogni e desideri, e una capacità potenziata di affrontare nuove sfide e ambizioni, personali e collettive.

Fonti (per data di pubblicazione)

  1. “Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ”, di Daniel Goleman, (1995)
    Goodreads
  2. “Social Intelligence: The New Science of Human Relationships”, di Daniel Goleman, (2006)
    Goodreads
  3. “Focus: The Hidden Driver of Excellence”, di Daniel Goleman, (2013)
    Goodreads
  4. “AI and the Erosion of Human Cognition”, di Samuel Veissière, (2023)
    Psychology Today
  5. “Impact of Artificial Intelligence on Human Loss in Decision Making, Laziness, and Privacy Concerns”, di S. M. Yasir Arafat et al., (2023)
    Nature
  6. “Is artificial consciousness achievable? Lessons from the human brain”, (2024)
    arXiv
  7. “The Limitations of Generative AI According to Generative AI”, (2024)
    Lingaro Group
  8. “The Weaknesses of AI-Generated Writing”, (2024)
    WordRake
  9. “The Cognitive Research Behind AI’s Rise”, di Nathan Collins, (2024)
    Stanford Report
  10. “Artificial Intelligence, Human Cognition, and Conscious Supremacy”, di Ryota Kanai, (2024)
    Frontiers in Psychology

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Written by Gino Tocchetti

Business Design, Corporate Innovation, Strategy Advisor

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